Uno degli intermezzi di Niccolò Jommelli portato in scena nell'ambito dell'Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2015 sotto la guida di Alessandro De Marchi
Risalente al periodo centrale della produzione di Niccolò Jommelli, La cantata e disfida di Don Trastullo vide la luce al Teatro della Pace in Roma nel corso del Carnevale 1749, incastonata all'interno del melodramma Artaserse, confermando la felice vena comica del compositore aversano che, dopo l'esordio napoletano de L'errore amoroso (1737) e di Odoardo (1738), per un decennio si era disinteressato da questo genere musicale preferendo accostarsi al teatro serio ed all'oratorio sacro.
L'esile trama del lavoro, come sempre accade negli intermezzi – rilassanti inserti comici con pochi personaggi, suddivisi in due sezioni destinate a spezzare la paludata gravità dei tre canonici atti dell'opera seria - è invero ben poca cosa. Arsenia e Giambarone vogliono convolare a nozze, ma mancano i quattrini necessari; allora la ragazza pensa di strapparli con l'astuzia a quel fanfarone di Don Trastullo, nobile altezzoso e dalle velleità poetiche che la corteggia da tempo. Facendogli credere d'essere vessata da parenti sospettosi, lo introduce in casa nascosto dentro un baule; una volta uscitone, l'uomo corteggia la ragazza con un linguaggio ampolloso e pieno di allegorie, intonando per lei spassosi versi - la "cantata" del titolo - ispirati alle vicende omeriche («O bella gioja/ Elena voi per me siete una Troja»). La ragazza pare accetti le sue profferte amorose, ma dopo aver ottenuto da lui una cambiale di cento doppie, dicendo che la somma serve per riscattare una promessa di matrimonio fatta ad altri, per non portare oltre le cose fa intervenire Giambarone, che con una sfuriata di gelosia fa scappare il pavido rivale. Nella seconda parte, il giovane sollecita le nozze, ma la ragazza temporeggia temendo le ire del conte; sentendo questo, Giambarone proclama un fiero ardimento guerriero mentre, in realtà, nasconde un animo assai pusillanime. Trastullo in effetti soprravviene a reclamare i suoi diritti, e in breve tra i due contendenti nasce una comica disputa: a parole entrambi evocano spavaldi un risolutivo duello, ma negli 'a parte' confessano il timore di soccombere nello scontro. Per risolvere la cosa senza spargimento di sangue, la scelta viene pertanto delegata ad Arsenia la quale, dopo aver valutato ben bene l'uno e l'altro degli spasimanti, naturalmente afferma di scegliere Giambarone. Quanto alla cambiale, con un accorto stratagemma essa riesce a tenersela in tasca, di modo che al conte scornato e beffato non resta che maledire tutto il genere femminile. Si badi che quelli di Arsenia e di Trastullo son nomi scelti con sottile ironia dall'ignoto librettista: l'arsenico, usato piccolissime dosi, era ritenuto in quel tempo un efficace afrodisiaco; a dosi crescenti però, come ben si sa, diveniva una diabolica e letale tossina. Dunque la giovane Arsenia seduce con la sua insinuante medicina – la bellezza, la freschezza, l'apparente disponibilità - il suo nobile corteggiatore, che diviene nelle sue mani un passatempo, cioè un piacevole trastullo; ma il risultato che ottiene consapevolmente, alla fine, è quello di avvelenarne l'esistenza.
Buon drammaturgo, inventivo melodista e sapiente strumentatore, in Don Trastullo così come in altri lavori coevi (L'uccellatrice, I rivali delusi, Don Falcone), Jommelli evita la facile disinvoltura con la quale il genere minore dell'intermezzo viene trattato dai colleghi, e ne riscatta il valore musicale e drammatico impresso dai prototipi pergolesiani. Elabora così una partitura molto interessante e ben articolata, musicalmente ricca di bei particolari, e che sulla scena regge ancora assai validamente. Esilarante poi la strampalata ed estemporanea improvvisazione poetica del conte Trastullo - la cantata del titolo - vera gemma della partitura, Jommelli vi imprime tutta la sua fantasia, creando una sorta di melologo dai variopinti tratti comici, immaginando continui scarti ritmici e melodici; sì da farne il centro del primo atto, ed al pari del colorito e divertente scontro verbale tra i due rivali – la disfida che costituisce il perno del secondo - una vera e propria pagina d'antologia.
Accorto concertatore, fedele al testo ma con un occhio alle esigenze teatrali, nel portarlo in scena Alessandro De Marchi lo completa qui con due altri testi jommelliani: un'introduzione strumentale bipartita – la sinfonia del più tardo Attilio Regolo - e la piacevole inserzione, in apertura del secondo atto, di una soave paginetta religiosa – il breve 'a solo' per soprano dal Te Deum del 1763 - intonata fuori scena, al pari di una serenata, da Arsenia. Il risultato è quello di elevare questo breve intermezzo a dignità di farsetta comica, dimensione drammaturgica raggiunta grazie anche alla sagace gestione scenica di Christoph von Bernut: il regista americano muove infatti i personaggi con giusta leggerezza e con ammiccante ironia, senza indulgere a facile comicità; ed amplia il poco spazio disponibile con rapide e coinvolgenti escursioni degli interpreti tra le fila degli spettatori.
Esecuzione filologicamente corretta, musicalmente esemplare, un travolgente divertissement ben condotto in ogni momento grazie all'accortissima direzione di Alessandro De Marchi, che procede con squisita leggerezza ed eleganza traendo il meglio di questa piacevoli pagine jommelliane, ed al fondamentale apporto di una formazione di eccellenza - l'Academia Monte Regalis - che lo asseconda e serve a perfezione. Interpreti anch'essi tutti adeguati: molto brio e seducente malizia nell'Arsenia del soprano statunitense Robin Johanssen, interprete vocalmente precisa e piacevole, ben salda soprattutto nel registro alto; ammirevole quanto a stile musicale e recitazione – qui la miglior scuola italiana si sente - il travolgente Don Trastullo del basso Federico Sacchi, che nel suo travolgente quadretto omerico («Io son quel pastorello, quel Paride novello») ha prodotto vere faville; convincente in scena e sempre ben sciolto in canto anche il simpatico Giambarone del giovane tenore pugliese Francesco Castoro.
Esecuzione tenutasi il 21 di agosto nella stupenda cornice barocca della Spanischer Saal del Castello di Ambras, nell'ambito de l'Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2015 di cui De Marchi è direttore artistico.